Il diritto all’accesso ad internet: remote activities e diritti fondamentali.

Gli avvenimenti di queste settimane, che hanno visto il forzato trasferimento “in remoto” di buona parte delle attività produttive, culturali e sociali del paese con un’improvvisa accelerazione di fenomeni come lo smart working ed il distance learning, ma anche esplorazione virtuale di musei, corsi collettivi on line, ecc., hanno vieppiù evidenziato il “digital divide” che esiste in Italia: un’importante fetta della popolazione italiana non ha, in questa complessa situazione, avuto l’accesso (in tutto o in parte) ad internet. Inoltre, solo per l’arretratezza nel settore dei nostri sistemi di telemedicina (che non permette consultazioni on line da parte dei malati con il Servizio Sanitario) ciò non ha prodotto divari con conseguenze ancora più drammatiche.

Il tema dell’accesso ad Internet è d’altra parte ben noto e la sua concreta implementazione costituisce un obiettivo chiaro sia dell’Unione Europea che del legislatore italianoi, sebbene a livello nazionale il raggiungimento degli obiettivi preposti appaia ancora lontano, tanto a causa sia dell’inadeguato funzionamento della PA che per un non sempre corretto assetto concorrenziale del mercatoii, oltre che (ma difficile distinguere causa ed effetto) per lo scarso utilizzo che ancora viene fatto della rete nel nostro Paeseiii.

Il tema che ancora oggi si ripropone è così il diritto di ognuno (e non solo di ogni cittadino) all’accesso ad internet in tutte le aree del paese.

Conviene allora comprendere, innanzitutto, cosa si intenda quando si parla di diritto di accesso ad Internet. Tale diritto è una regola giuridica, non una regola tecnica sul funzionamento della rete, posta dall’ordinamento affinchè tutti abbiano la stessa possibilità di accesso alla rete, in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate e tali da rimuovere ogni ostacolo di ordine economico e socialeiv. Specularmente, al fine di rendere effettivo tale diritto, le Istituzioni pubbliche devono garantire “i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilitàv. Garantire la libertà di connessione permette a ciascuno di esercitare e godere dei propri diritti, che vanno dalla libertà di espressione e opinione ad altri diritti umani fondamentali. D’altro canto Internet è anche la new economy, internet of thinghs, industria 4.0, FANGs o Big Tech, e-governmentvi, in altre parole sviluppo ed inclusione economica e sociale, valori personali, sociali ed economici.

Anche sulla base di queste premesse, da più parti si è affermata l’idea che il diritto di accesso a internet possa essere definito un diritto umano fondamentale: peraltro la rilevanza di questo diritto era già stata messa in luce da autorevole dottrinavii. La rilevanza del diritto di accesso ad internet come diritto fondamentale, in tal senso, consente alle persone di esercitare il proprio diritto di opinione ed espressione e la sua tutela dovrebbe avvenire al pari degli altri diritti fondamentaliviii.

Vi è uno strettissimo legame fra i diritti connessi alle nuove tecnologie, quale appunto l’accesso ad internet, ed i più classici diritti e libertà fondamentali dell’individuo, nel senso che i primi costituirebbero una specificazione ed uno sviluppo dei secondi. Si è affermato, ad esempio, che il diritto di libertà economica è diventata una pretesa di libertà in senso attivo (non libertà DA, ma libertà DI), cioè di valersi degli strumenti informatici per fornire ed ottenere informazioni e di poter costituire un rapporto e di partecipare alla società virtualeix. Si assottiglia così il confine fra dato personale e la persona fisica e si può a piena ragione parlare di “identità” digitalex.

La rilevanza del diritto di accesso ad internet comporta ovviamente delle ricadute pratiche importanti sotto il profilo del trattamento giuridico: sia per il legame con gli altri diritti fondamentali, sia per le minacce che l’utilizzo di internet portano sull’aumento di vulnerabilità informatica e sociale, nonché sulle ricadute sul trattamento dei dati personalixi, principio ad oggi definito come diritto fondamentale già dall’art. 8 della Carta di Nizza.
Si pone poi un problema di inquadramento giuridico del concetto di rete, in quanto struttura che rimanendo neutrale ci permette di accedere alla conoscenza digitalizzata ed a scambiare dati. Lo statuto giuridico di Internet, in tal senso, è controverso
xii. Non è infatti individuabile alcuna infrastruttura né identificabile alcun soggetto a cui imputare l’effettiva gestione della rete, fatto salvo per organismi internazionali adibiti però ad un controllo strettamente tecnico. La rete viene pertanto di norma definita come “bene comune”: si verifica così un’evoluzione considerevole nel concetto di bene comune, che finisce ad oggi per riguardare anche le comunità virtualixiii.
Come osservato in dottrina peraltro il tema si pone non solo per il concetto di rete ma, più in generale, per quello dei dati pubblici (cd. open data), funzionali ad assottigliare le distanze fra privato e Istituzioni pubbliche.

Dinanzi a questa importante evoluzione sia giuridica che tecnologica, sia il legislatore italiano che quello europeo non sono rimasti inerti.

A livello comunitario assume ruolo centrale il Regolamento UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015xiv. Tale regolamento acquista un’importanza strategica nello scenario europeo e, quindi, anche nazionale, poichè ha lo scopo di definire norme comuni per garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico nella fornitura di servizi di accesso a Internet e tutelare i relativi diritti degli utenti finali, nonché garantire la neutralità della Rete nel territorio comunitario (si vedano in particolare il considerando n.1 e l’art. 3 del Regolamento). Esso mira a tutelare gli utenti finali e a garantire al contempo il funzionamento ininterrotto dell’ecosistema di Internet quale volano per l’innovazione. Nell’assetto regolamentare assumono importanza centrale le Autorità nazionali di regolamentazione (art. 5), con il compito di monitorare sul rispetto della normativa, di promuovere la disponibilità di accesso indiscriminato ad internet a livello qualitativamente al passo con il progresso e di imporre requisiti minimi di qualità del servizio.

In ambito nazionale, la Commissione dei Diritti di Internet della Camera dei Deputati il 14 28 luglio 2015 ha presentato la c.d. “Dichiarazione dei diritti in Internet”, un documento composto da 14 articoli e concepito come una linea guida per l’interpretazione evolutiva delle normative esistenti e per poter orientare i possibili futuri sviluppi legislativi. La Dichiarazione è fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona: tali diritti sono una condizione necessaria al fine di assicurare il funzionamento democratico delle Istituzioni ed evitare un’evoluzione verso una società della sorveglianza. In tal senso internet si configura come uno spazio essenziale per l’autorganizzazione degli individui e come uno strumento importante per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici, legandosi così all’attuazione di principi costituzionali. Proprio in tema di qualificazione, infine, la Dichiarazione prevede espressamente che l’accesso ad internet sia un diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale.

Le proposte nazionali in tema di implementazione del diritto di accesso alla rete, inteso come diritto fondamentale della persona, non si sono fermate qui. Degna di nota in tal senso è legge regionale della Regione Umbria n. 31 del 13 dicembre 2013, la quale prevede la promozione del diritto di tutti i cittadini di accedere ad internet quale strumento di promozione sociale ed economico, garantendo le infrastrutture necessarie a godere appieno di tale diritto.
Inoltre, vi sono interessanti proposte legislative finalizzate ad inserire all’interno della Costituzione un articolo
bis (si parla del 21 ovvero del 34)xv in materia di riconoscimento del diritto sociale di accesso alla rete internet. Tale norma troverebbe uno stretto collegamento con altre disposizioni fondamentali, quali la libertà di espressione (art. 21 Cost.), il diritto all’istruzione (art. 34 Cost.), l’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e il buon andamento della PA (art. 97 Cost.).
Questo nuovo diritto andrebbe così letto come “
diritto sociale” in quanto consentirebbe l’esercizio di altri diritti fondamentali che definiscono e qualificano la cittadinanza stessa. Sarebbe inoltre certamente funzionale a molte riforme di cui il Paese è in attesa.

Su quest’ultimo profilo, ci sia permesso osservare che una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme (europee e nazionali) esistenti, anche sulla scorta della dottrina che si è creata sulla materia ed alla luce della “Dichiarazione dei diritti in Internet”, autorizzerebbe sin d’ora un’ampia gamma di riforme ed interventi che garantiscano l’effettivo accesso ad Internet ai cittadini (già riconosciuto come diritto fondamentale dalla normativa sovranazionale). Si può inoltre affermare che già solo le concrete esigenze sociali ed economiche del paese dovrebbero spingere (al di là della formale enunciazione di un nuovo articolo nella Costituzione repubblicana) verso una serie di iniziative -anche urgenti- che portino ad una effettività dell’accesso ad internet. Potestà che, di fatto, molti cittadini ad oggi, anche in giorni di crisi, non hanno (e non certo solo per la mancanza di un testo normativo di rango Costituzionale). L’accesso ad Internet in un paese che -unico- prevede PEC e obbligo di fattura elettronica dovrebbe essere quantomeno garantito senza ammettere scoperture, se non addirittura fornito direttamente dalla stessa PA in modo gratuito (sulla base dei principi sopracitati).

i

 Ci si riferisce all’Agenda Digitale Europea, facente parte di uno dei 7 pilastri della Strategia Europa 2020, che contiene gli obiettivi dell’UE fino al 2020, nonché all’Agenda Digitale Italiana, elaborata per raggiungere gli standard previsti a livello europeo.

iv Cfr. Camera dei Deputati, “Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet”, “Dichiarazione dei diritti in Internet”,14 luglio 2015, art. 2.2.

v Ibid., art. 2.5.

vi L. Atzori, A. Iera, G. Morabito, Understanding the Internet of Things: definition, potentials, and societal role of a fast evolving paradigm, Ad Hoc Networks, Volume 56, 2017, pp. 202-213 Ad Hoc Networks, Volume 56, 2017, pp. 122-140; Winseck, Dwayne. “The Geopolitical Economy of the Global Internet Infrastructure.” Journal of Information Policy, vol. 7, 2017, pp. 228–267. JSTOR, www.jstor.org/stable/10.5325/jinfopoli.7.2017.0228. Accessed 17 Mar. 2020.

vii Si veda ad esempio S. Rodotà, “Dal soggetto alla persona”, Napoli, 2007.

viii Si vedano ad esempio report dell’OSCE dell’8.7.2011, https://www.osce.org/fom/105522?download=true; Commissione dei diritti umani dell’ONU, Thirty-secondsession, 27 giugno 2016, A/HRC/32/L.20.

ix T.E. Frosini, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista AIC, n. 1/2011,8.

x G. Alpa, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contratto e Impresa, 2017, 723 e ss.

xi R. Shandler, D. Canetti, A Reality of Vulnerability and Dependence: Internet Access as a Human Right, VL – 52, Israel Law Review.

xii Sul punto si veda M. Iaselli, La natura giuridica di internet, https://www.diritto.it/articoli/informatica/nat_giu_int.html.

xiii G. Ricoveri, Beni comuni fra tradizione e futuro, Bologna, 2005; R. Briganti, dimensione costituzionale dei beni comuni tra principi, regole e prassi, in Nomos, 2, 2019, pg.5.