Salvare il Salvator Mundi? Il mercato dell’arte e le incertezze normative. di Dimitri De Rada e Gloria Gatti

Salvare il Salvator Mundi? Il mercato dell’arte e le incertezze normative: uno spunto di riflessione sui recenti orientamenti dottrinali in tema di categorizzazione e protezione dei beni culturali. 

da Altalex http://www.altalex.com/documents/news/2017/11/07/salvare-il-salvator-mundi

In questi giorni assistiamo a quella che sembrerebbe essere l’offerta di un patrimonio nazionale, al miglior offerente.

Il 15 novembre, infatti, Christie’s batterà il Salvator Mundi, un olio su tavola di 65.7 x 45.7 cm, come “pièce d’exception” durante l’asta “Post-War and Contemporary Art Evening Sale, unico dipinto di Leonardo da Vinci, ancora di proprietà di un privato con una stima di 100.000.000 di USD.

Gli storici dell’arte ormai prevalentemente attribuiscono l’opera al genio di Leonardo, ritenendo che sia stata dipinta a Milano attorno al 1499, alla fine del soggiorno del pittore in città per la commissione della pittura muraria dell’Ultima Cena, nel refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie.

In principio il dipinto fu attribuito al pittore Leonardesco Bernadino Luini, celebre pittore rinascimentale milanese, e seguace di Leonardo, e come tale venduta dalla Case d’aste Sotheby’s per 45 sterline, in  un’asta del 1958.

L’attribuzione Leonardesca è avvenuta a seguito del restauro del 2007 e come opera a mano del Da Vinci, il Cristo benedicente è stato esposto alla National Gallery di Londra tra il 2011 e il 2012 in occasione della mostra: “Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan”.

Questa è stata l’unica pubblica esposizione e apparizione del dipinto che ha preceduto il tour promozionale di Christie’s nelle sue sedi.

Nessuna esposizione, invece, per il Salvator Mundi alla mostra “Leonardo Da Vinci 1452-1519” tenutasi al Palazzo Reale di Milano nel 2015, in concomitanza con Expo, né è stato mai esposto in Italia in altre occasioni. Agli appassionati, ciò potrebbe sembrare incomprensibile, ma la giustificazione si rinviene nella  vigente normativa in tema di beni culturali, in particolare nell’art. 13 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, più noto me Codice dei beni culturali. La norma, infatti, avrebbe consentito al Ministero del Beni Culturali nel momento in cui l’opera si trovasse entro i nostri confini di notificare al proprietario, al possessore o al detentore se soggetto privato  la “dichiarazione dell’interesse culturale, trattandosi di bene di “interesse particolarmente importante”, dal punto di vista culturale, artistico, storico, di cose d’arte e di impedirne future esportazioni.

La vigente normativa desta perplessità da un lato pare tutela inadeguata per la protezione del patrimonio artistico di formazione italiano e dall’altro penalizza l’esposizione anche solo transitoria delle opere private in Italia.

La lacunosa e complessa modalità di accertamento dell’autenticità delle opere dei cosiddetti Old Masters (rimessa all’autorità di esperti via via chiamati – quasi esclusivamente- da parti contrattuali ad attestarne la paternità in maniera svincolata da qualunque autorità terza, anche solo privata) non agevola in alcun modo l’approccio ad investimenti di tale portata da parte di istituzioni o enti pubblici che potrebbero rivelare, come nel caso del famigerato “Crocifisso Gallino” attribuito a Michelangelo e acquistato dallo Stato Italiano a 3.250.000 euro nel 2008, sorprese amare.

Nel caso del Salvator Mundi non sembra che lo Stato Italiano sia intenzionato ad intervenire come invece ha fatto pochi giorni fa per le lettere di Giuseppe Verdi che sarebbero dovute andare in asta il 26/10 a Londra. In questo ultimo caso il Mibact ha acquistato fuori asta il lotto 138 che sarebbe stato battuto da Sotheby’s con le 26 lettere della corrispondenza del musicista con il librettista Salvatore Cammarano per un prezzo totale di 358 mila sterline.

Forse l’opera attribuita a Leonardo è ancora da giudicarsi dubbia? Forse il prezzo è impegnativo rispetto ad altri recuperi? Di sicuro l’agire o meno è rimesso alla discrezionalità dello Stato.

Casi come questo, rilevati tanto sotto il profilo culturale che commerciale pongono una serie di inevitabili quesiti al giurista:

  • Dovrebbe esistere un obbligo per lo Stato di recuperare le opere che fanno parte del National Heritage (o almeno provarci)? E, in caso positivo, a quali condizioni (accertamenti di autenticità, giudizio di prezzo) e con quali strumenti?
  • Ovvero, quale dovrebbe essere una (auspicabile) normativa europea sui cultural (non solo artistic) Heritage? Dovrebbe prevedere anche il “ritorno a casa” delle opere a certe condizioni?
  • E’ auspicabile l’istituzione di una “agenzia” (o altro organo) europea che si occupi della catalogazione (evoluta)/analisi/conservazione /recupero del cultural heritage europeo (con finalità sia di valorizzazione culturale che di garanzia per il mercato dell’arte)?
  • Quale è la compatibilità della normative nazionali, ed italiana in particolare, con la normativa europea europea in materia?

Se appare arduo dare una risposta ai suindicati quesiti quello che oggi si può certamente fare per “costruire” la stessa è partire da una (qui sintetica) ricostruzione degli orientamenti dottrinali  e di giurisprudenza sulla normativa di settore.

Quella dei beni culturali è una categoria unitaria, nonostante le norme che disciplinano in maniera diversa beni dotati del medesimo pregio, a seconda che questi appartengano a soggetti privati o pubblici. Secondo autorevole dottrina, data la rilevanza dei beni artistici come beni di interesse pubblico, il Giannini teorizza la possibilità di creare un sistema giuridico unitario di tutti i beni culturali, prescindendo dall’appartenenza a soggetti pubblici o privati[1].

Quando il bene artistico patrimoniale è di natura privata, non c’è problema di coesistenza con la natura di bene culturale, visto che si deve garantire solo la sua conservazione. Il bene di appartenenza pubblica, invece, presenta un profilo di criticità maggiore, poiché questo non deve essere solamente conservato ma anche valorizzato, al fine di migliorarne la fruizione della collettività.

Al fine di questa breve trattazione finalizzata a individuare gli aspetti de iure condendoin campo internazionale, europeo e italiano, è utile ricordare che la caratteristica unitaria dei beni culturali non è nel pregio estetico ma nella loro attinenza alla storia della civiltà, caratteristica che consente di definirli culturali.  Il termine “cultura”, sotto il profilo eminentemente etimologico riassume ciò che concorre alla formazione di un individuo sul piano intellettuale e morale e, nello stesso contesto, designa il patrimonio delle conoscenze e delle esperienze che sono acquisite da ciascuno e da una collettività nel corso del tempo. D’altra parte, in un senso ancora più ampio, con l’espressione “cultura” si può fare riferimento all’insieme delle manifestazioni della vita spirituale, sociale e materiale di un popolo, di un gruppo etnico, di una comunità di uomini[2]. La categoria dei beni culturali comprende, pertanto, tutte le forme espressive che nel tempo si sono riconosciute come forme di civiltà[3].

È utile far riferimento, specialmente per i nuovi sviluppi normativi e all’attenzione verso i beni culturali immateriali[4], alla distinzione operata dal Marini per cui l’opera immateriale è l’opera dell’ingegno, perché riproducibile e autonoma rispetto al supporto materiale. Diversamente l’oggetto di tutela diventa il corpus mechanicum[5],in cui il valore culturale è strettamente incorporato: la distruzione della «cosa» comporta il venire meno dell’interesse da tutelare.

Dopo oltre 60 anni dalle leggi Bottai del 1939 sulle cose d’arte e sulle bellezze naturali, con il Codice dei beni culturali è stata tentata una risistemazione aggiornata e non, solamente, compilativa come avveniva per il T.U. del 1999, del corpus normativo sui beni culturali. L’adozione del Codice Urbani (d.lgs n. 42 del 22 gennaio 2004) è stata necessaria anche per armonizzare la normativa con il nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Regioni introdotto dalla riforma costituzionale del 2001.

Il trattato di Maastricht ha stabilito che la realizzazione del mercato comune in materia di beni culturali non richiede il ravvicinamento delle legislazioni interne. Gli Stati conservano la sovranità completa nei confronti del proprio patrimonio culturale, principio che si fonda sull’idea di tutela delle identità culturali dei popoli che compongono l’Unione e risponde all’esigenza di preservare le «diversità culturali» degli Stati membri. Questo regime giuridico risulta appropriato, tuttavia, dovrebbe essere rafforzato mediante l’azione internazionale comune e armonizzata degli Stati e dell’Unione. I più recenti sviluppi culturali e tecnologici pongono diversi quesiti aperti rispetto ad una più profonda organizzazione giuridica della materia in seno all’Unione.

Premesso il valore culturale conferito ai beni culturali dall’Unione europea, risulta rilevante, in relazione ad aspetti fondanti dell’Unione, quali il libero scambio delle merci e la concorrenza, il valore commerciale dei beni artistici.

L’attuale sistema italiano ha l’obiettivo di preservare il patrimonio storico-artistico, e tramite il meccanismo delle licenze, che regolamenta l’esportazione, temporale o definitiva, di un’opera d’arte all’estero, opera nel tentativo di scoraggiarne la dispersione. Per questo motivo lo Stato Italiano può esercitare il diritto di prelazione nei confronti degli acquirenti, che in tal caso sono tenuti a restituire beni acquistati illecitamente. Questo sistema ha ricevuto negli anni diverse critiche, sia per la dilatazione dei tempi procedurali sia per la discrezionalità dei criteri valutativi, tanto da ritenere questa normativa causa concomitante al proliferare del mercato nero in campo artistico.

In relazione a questa problematica è lecito interrogarsi se l’esercizio del diritto di prelazione sulle alienazioni di beni di interesse artistico e culturale da parte di uno Stato membro dell’Unione violi il principio di libera circolazione delle merci all’interno dell’EU.

Il quesito è stato posto da un’acquirente olandese che nel 2007 ha acquistato in Francia una statuetta di arte tribale presso una nota casa d’aste.

Considerando la statuetta in oggetto “trésor national”, secondo la L. 123-1 del Code du patrimonie, la Francia ha esercitato il proprio diritto di prelazione per l’acquisto dell’opera d’arte.

L’acquirente ha però presentato ricorso per l’annullamento dell’atto amministrativo con cui è stato effettuato tale acquisto.

Con la sentenza n. 15/747 del 23 novembre 2015, il Conseil d’Etat francese ha affermato che il diritto di prelazione costituisce solamente una modalità di acquisizione dei beni culturali da parte dello Stato e non attiene, dunque, alla disciplina sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione Europea; l’acquisto in via di prelazione non costituisce dunque – secondo l’organo di ultima istanza di giustizia amministrativa in Francia – una restrizione quantitativa all’importazione o all’esportazione delle opere d’arte e, pertanto, non può essere considerato incompatibile con i principi del mercato interno. Per questi motivi, il ricorso è stato rigettato è la questione non verrà sottoposta alla Corte di Giustizia Europea.

Si auspica tuttavia che la Corte di Giustizia Europea abbia nuove occasioni per pronunciarsi su questi temi, non solo in relazione alla disciplina francese ma anche in relazione alla disciplina italiana. La normativa eccessivamente protezionistica di entrambi i Paesi, infatti, pone seri dubbi sulla legittimità delle norme sulla circolazione dei beni culturali.

È evidente, pertanto, come sia problematico il ruolo di uno Stato nel momento in cui decide di acquisire un’opera artistica con lo scopo di preservare e accrescere il proprio patrimonio culturale. Oltre alle problematiche che possono sorgere in materia di libero scambio e accesso al mercato, come già evidenziato con il caso francese, si possono rilevare criticità in relazione alla bontà dell’opera e alla sua valutazione, aspetto delicato e non disciplinato in maniera organica a livello comunitario.

Alcune delle problematiche fin qui rilevate sono state accolte dal legislatore italiano e si sono concretizzate nel recente ddl concorrenza. Infatti si dispongono gli indirizzi generali per il rilascio dell’attestato di libera circolazione e, in particolare, l’istituzione di un apposito “passaporto” quinquennale per agevolare l’uscita e il rientro delle opere dal e nel territorio nazionale.  Inoltre, è stata introdotta una soglia unica di valore pari a 13.500 euro per ogni categoria di bene artistico al di sotto delle quali le opere con più di 70 anni di autore non più vivente potranno uscire dall’Italia liberamente. In altri Paesi UE questa soglia di valore è molto più alta. Il Regolamento (CE) 116/2009 prevede infatti soglie di valore per la circolazione interna dei beni culturali, recepite dai singoli paesi: 15.000 euro per le fotografie, 50.000 euro per i libri, 150.000 euro per i quadri.

Queste e altre problematiche mettono in evidenza la necessità di una collaborazione maggiormente concertata a livello comunitario. In tal senso si prospetta l’istituzione di una Agenzia Europea per la gestione, catalogazione, classificazione e recupero del patrimonio artistico europeo, un segnale di apertura in questa direzione si può individuare nell’istituzione, nel 2018, del “European Year of Cultural Heritage”. Questa iniziativa è indirizzata a rimarcare il valore fondante del patrimonio culturale (cultural heritage) comune europeo come momento aggregante dell’Unione. Un punto cardine di questo programma è lo studio di come l’era digitale stia cambiando le modalità di accesso e la fruizione della cultura. La circolazione dei beni culturali, infatti, e la connessa trasformazione del mercato dell’arte presenta caratteristiche differenti rispetto al passato: oggi è più fluido e ampio ed è anche aperto ai meno esperti, che dunque hanno una esigenza di tutela e di informazione maggiore. I problemi relativi alla legge applicabile, al foro competente, alla tutelata del contraente debole, la responsabilità degli esperti d’arte etc. sono tutte problematiche che potrebbero essere gestite e armonizzate in maniera efficace se gestite in seno a una Agenzia europea. Problematica, non secondaria, che potrebbe essere gestita al meglio da una Agenzia europea è quella connessa all’arte digitale, la quale fa del digitale la forma espressiva, oltre che il mercato di riferimento e quella relativa alla gestione del “Resale Right” diritto da riconoscere all’artista a ogni transazione che avviene in capo a una sua opera d’arte, in maniera tale da garantire il giusto riconoscimento economico all’autore, nel corso degli anni, in caso di un aumento del valore dell’opera sui mercati internazionali.

(Altalex, Articolo di Dimitri De Rada e Gloria Gatti)

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[1] Per completezza espositiva si cita, ex multisC. Irelli che distingue i beni culturali in base al regime di appartenenza.   

La teorizzazione di M.S. Giannini, invece, viene ripresa da Alibrandi e Ferri che sottolineano la prevalenza del bene culturale su quello patrimoniale. Perché le esigenze di tutela si impongono anche sull’esercizio del diritto di proprietà.

È interessante contestualizzare tale problematica nel solco interpretativo che viene dato alla proprietà nella Costituzione italiana, ex multis cfr.: BARILE, Paolo. Il soggettoprivato nella Costituzione italiana. Cedam, 1953; MORTATI, Costantino. Istituzioni didiritto pubblico. Cedam, 1969;

GROSSI, Pierfrancesco. Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzioneitaliana. Cedam, 1972.                

[2] Michele Ainis nell’introduzione alla ricerca relativa ai rapporti tra cultura e politica avverte che l’attenzione nei confronti di una tale relazione sembra trovare naturale collocazione ed ampio spazio negli studi di area politologica, sociologica e storica, mentre il giurista che affronta le stesse problematiche deve affrontare delle notevoli, se pure non insormontabili, difficoltà per adattare una materia “magmatica e sfuggevole” ai propri schemi logici. M.Ainis, Cultura e politica. Il modello costituzionale, CEDAM, Padova, 1991, pag. 1. Si v. anche pag. 34 dove l’A. rileva l’alto “tasso di ambiguità semantica che contrassegna la nozione di cultura”, nonché pagg. 57 e sgg. La considerazione che il concetto di “cultura” riesce problematico trova conferma nella vasta classificazione presa in esame da KROEBER, Alfred Louis; KLUCKHOHN, Clyde. Culture: A critical review of concepts and definitions. Papers.Peabody Museum of Archaeology & EthnologyHarvard University, 1952.             

[3] ASSINI, Nicola; CORDINI, Giovanni. I beni culturali e paesaggisticidiritto interno,comunitariocomparato e internazionale. Cedam, 2006.                

[4] CfrMORBIDELLI, Giuseppe. The Immaterial Value of Cultural Heritage. Aedon, 2014, 1: 0-0.             

[5] MARINI, Francesco Saverio. Lo statuto costituzionale dei beni culturali. Giuffrè, 2002, pag. 51.