L’Art. 91 Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 81, nell’ambito della normativa dei contratti ed il rischio di “liquidity crunch”.
La situazione assolutamente eccezionale che stiamo vivendo in queste settimana pone il mercato, e conseguenzialmente il giurista, di fronte a fattispecie e quesiti tanto stringenti quanto rilevanti.
Uno degli effetti peggiori verificatisi è quello del “blocco” dei saldi, in altre parole la diffusione a macchia d’olio del mancato pagamento delle scadenze.
A fronte all’oggettivo crollo del fatturato e degli incassi, e la conseguente crisi di liquidità, imprese e soggetti privati sono portati a ritardare o congelare, scadenze, pagamenti ai fornitori, e persino ai dipendenti, generando un effetto a cascata di contrazione della liquidità di tutto il sistema. E’ stato addirittura ipotizzato -a causa di questo “liquidity crunch” – che molte aziende potrebbero giungere sino a cessare l’attività o fallire, generando un livello di disoccupazione incontrollabile, mai sperimentato prima.
Il quesito ulteriore è quindi se la eccezionale situazione economico giuridica (i divieti imposti dai DPCM in particolare) possano giustificare il mancato o ritardato adempimento delle obbligazioni in scadenza o avere altro rilievo giuridico in ambito contrattuale.
In primo luogo, proprio per far fronte alle citate difficoltà dei cittadini e degli operatori economici il Governo ha, d’urgenza, emanato, tra gli altri, il Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 181 il cui art. 91 (rubricato come “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”) prevede:
1. All’articolo 3 del decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”.
Come noto l’art. 1218 c.c. (che si occupa della responsabilità del debitore) prescrive che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.”
Invece, l’art. 1223 si occupa del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.
Come norme rilevanti ai fini dell’integrazione della fattispecie dell’art. 91 sono solo quelle “di contenimento” adottate dal Presidente del Consiglio e dalle autorità competentii.
In pratica questa norma speciale (rispetto alle disposizioni codicistiche) rende giustificabile e scusabile il ritardato o il mancato pagamento a condizione che questo sia conseguenza delle misure autoritative per il contenimento dell’epidemia (c.d. factum principis), sicché se, ad esempio, il Decreto impone al soggetto la chiusura della propria attività lavorativa ciò dovrebbe rilevare al fine di giustificare l’inadempimento (poiché appunto “… Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto…è sempre valutato…”).
Resterebbero all’esterno della fattispecie, viceversa, tutti i casi in cui l’impossibilità sia derivata dalla crisi pandemica in sé (es. dall’inadempimento di un mio debitore o fornitore connessi alla pandemia).
Va detto che il medesimo decreto prevede espressamente norme sulla sorte di specifici rapporti contrattuali, ad es. (solo per accennarne alcuni) contiene una moratoria nel pagamento di rate di mutui e di leasing, il divieto di riduzione degli affidamenti bancari e facilitazioni nell’ottenimento di garanzie creditizie, sospensione del pagamento della rate di mutuo prima casa per lavoratori autonomi e liberi professionisti e numerose altre ipotesi specifiche (art.5 c.2).
Va evidenziato come per regola generale in tema di inadempimento delle obbligazioni se è vero che, a norma dell’art. 2018 c.c., la colpa del contraente inadempiente si presume, tuttavia, quando ricorrono circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a fare escludere tale elemento soggettivo, qualificante la condotta dell’obbligato, l’inadempimento deve essere ritenuto incolpevole e non possono essere pronunciate né la risoluzione del contratto né la condanna dell’inadempiente al risarcimento del dannoii; l’onere della prova grava sempre sul debitore e consiste nella prova dell’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere secondo l’ordinaria diligenzaiii.
In altre parole la misura di contenimento potrà esimere da responsabilità il debitore solo nel caso in cui abbia costituito impedimento all’adempimento non superabile con l’ordinaria diligenza.
Appare comunque chiaro che l’onere della prova per il debitore si profili come semplificato qualora venga dimostrato che l’inadempimento è maturato nel contesto dell’emergenza e per necessità del rispetto delle norme di contenimento.
In ogni caso deve sussistere il nesso di causalità tra la misura di contenimento della pandemia che si è dovuto rispettare e l’impossibilità; tale nesso causale, fatto salvo un alleggerimento della prova -in sede di valutazione giurisprudenziale- nell’ambito dell’interpretazione teleologica della norma, resta comunque a carico del debitore.
Va tenuto presente che nel caso di impossibilità temporanea l’art. 1256 c.c. si limita ad escludere, finché detta impossibilità perdura, la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento. Pertanto, in via generale, il debitore, cessata la suddetta impossibilità, deve sempre eseguire la prestazione, indipendentemente da un suo diverso interesse economico che può, eventualmente, far valere sotto il profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenutaiv.
Fuori dal perimetro della norma citata l’impossibilità della prestazione derivanti dalla epidemia e le sue conseguenze rientra nelle generali norme codicistiche in tema di obbligazioni.
Da un punto di vista oggettivo il citato art.91 non fa che specificare attualizzandoli (e dando quindi valore confermativo e rafforzativo) concetti come “factum principis” “forza maggiore” “caso fortuito” che vigono in tema di obbligazioni e che, da tempo, tendono a fare svanire le note contrapposte concezioni oggettiva e soggettiva dell’inadempimentov. Tali istituti giuridici potranno, in ogni caso, vista la loro portata generale, essere invocati anche al di fuori dell’ambito di diretta applicazione dell’art. 91 del DL. In particolare e più nello specifico:
Il factum principis è costituito da un sopravvenuto provvedimento dell’autorità che impedisca di realizzare la prestazione dedotta nell’obbligazione. In tal caso si ha un’impossibilità giuridica della prestazione (e quindi Decreti, ordinanze regionali o comunali ecc.);
Forza maggiore e caso fortuito: la prima costituisce una vis cui resisti non potest, mentre il secondo consiste in una particolare concatenazione causale degli eventi in base alla quale non è possibile attribuire l’inadempimento al debitore, tale istituto è previsto anche dall’articolo 79 della Convention on Contracts for the International Sale of Goods (cd. CISG o convenzione di Vienna) La Camera di Commercio Internazionale prevede la ICC Force Majeure Clause 2003 (ICC Clause)vi oltre che una hardship clause (traducibile come eccessiva onerosità sopravvenuta di cui accenneremo in seguito) che menzionano espressamente le epidemie.
L’art. 1218 c.c. deve essere coordinato altresì con l’art. 1175 c.c. che impone il reciproco dovere di correttezza e determina ciò che il creditore può pretendere e ciò che il debitore deve eseguirevii. Il ruolo sempre più rilevante assunto dal principio generale di buona fede ha inciso sul concetto di prestazione, determinandone una revisione critica che ha indotto la dottrina ad assimilare l’impossibilità sopravvenuta alla ineseguibilità della prestazioneviii.
La giurisprudenza di merito aveva già avuto modo di esaminare gli effetti di epidemie (in sé e quindi in assenza di norme di contenimento) sull’inadempimento delle obbligazioni ritenendole forza maggiore (conformemente anche alle norme sui contratti internazionali): definendo l’epidemia come una malattia contagiosa che colpisce ad un tempo stesso gli abitanti di una città o di una regione, i cui elementi caratteristici sono: il carattere contagioso del morbo; la rapidità della diffusione e la durata limitata del fenomeno; il numero elevato delle persone colpite, tale da destare un notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato e notevole di persone; un’estensione territoriale di una certa ampiezza, sì che risulti interessato un territorio abbastanza vasto da meritare il nome di regione e, di conseguenza, una comunità abbastanza numerosa da meritare il nome di popolazione (Tribunale Bolzano, 13/03/1979, in Giur. di Merito, 1979, 945; conforme Tribunale Savona, 06/02/2008, in Riv. Pen., 2008, 6, 671; Tribunale Trento, 16/07/2004, in Riv. Pen., 2004, 1231).
Qualora l’epidemia abbia reso l’adempimento di talune prestazioni non assolutamente impossibile, ma maggiormente oneroso (es. in termini di costi di produzione, di consegna ecc.) potrà essere invocata la “eccessiva onerosità sopravvenuta” ai sensi dell’art. 1467 cc. Tale istituto giuridico, tuttavia, potrebbe portare solo alla risoluzione del contratto da parte del debitore e non giustificare l’inadempimento.
Altrettanto si potrà dire invocando l’art.1256 c.c. rubricato “impossibilità definitiva e impossibilità temporanea” della prestazione: l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile (l’impossibilità deve essere sopravvenuta, cioè successiva, alla stipulazione del contratto, al sorgere dell’obbligazione); in questo caso, nei contratti a prestazioni corrispettive, ulteriore conseguenza sarà l’ automatica risoluzione del contratto anche se l’altra prestazione è ancora possibile. Come precedentemente analizzato se, invece, l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.
Potrebbero, in estrema ratio, essere invocati anche i principi di correttezza, di buona fede e di solidarietà sociale che potrebbero imporre al creditore di non esigere la prestazione: la giurisprudenza da tempo riconosce nell’ambito di una lettura costituzionalmente orientata della normativa sui contratti l’esistenza di un “dovere di solidarietà” nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.). Dal quale la Corte costituzionale ha già, in particolare, desunto “l’esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie” (cfr. sent. n.19-1994). E che, entrando (detto dovere di solidarietà) in sinergia con il canone generale di buona fede oggettiva e correttezza (artt. 1175, 1337, 1359, 1366, 1375 c.c.), all’un tempo gli attribuisce una vis normativa e lo arricchisce di contenuti positivi, inglobanti obblighi anche strumentali di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale, nella misura in cui questa non collida con la tutela dell’interesse proprio dell’obbligato (cfr. ex plurimis, Cass. Nn. 3362-1989, 2503-91, in tema di fieiussione omnibus; 748, 5531, 6408, 1012-1993;)
In conclusione l’art 91 del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18ix, non è che una norma speciale che, correttamente specifica e rafforza norme generali contenute nell’ordinamento codicistico, va quindi ritenuto che, salve le prudenti valutazioni da effettuare nelle diverse fattispecie concrete, la situazione straordinaria ed imprevedibile che si è venuta a creare può essere vista – anche al di fuori della fattispecie de citato art.91- come campo di applicazione di numerosi istituti in tema di obbligazioni e contratti anche in considerazione del principio di buona fede in tema di obbligazioni e, ove possibile, anche in un’ottica costituzionalmente orientata di solidarietà sociale, in un delicato bilanciamento di interessi pubblici e privati che dovrà però evitare l’effetto domino del “liquidity crunch”.
i Cfr.M. Laffranchi, Inadempimento al tempo del coronavirus ed inadempimento del contratto definitivo di vendita, in Federnotizie, 20 marzo 2020.
ii Così Cass. 4 settembre 1974, 2413.
iii Cfr. Cass. 8 giugno 1984 n.3457, Cass. 9 luglio 1984 n.4020, 30 aprile 1979, n. 2511.
iv Cfr. G. Delle Cave, Coronavirus ed inadempimento contrattuale, Altalex 28 febbraio 2020. https://www.altalex.com/documents/news/2020/02/28/coronavirus-e-inadempimento-contrattuale.
v Cfr. Cass. 27 luglio 1976, n.298, in Giust. Civ., 1976, I, 1756.
vi “The ICC Force Majeure Clause 2003 combines the predictability of listed force majeure events with a general force majeure formula which is intended to catch circumstances which fall outside the listed events. The ICC Hardship Clause 2003 balances businesspeople’s legitimate expectations of performance with the harsh reality that circumstances do change to make performance so hard that the contract simply must change”. https://iccwbo.org/publication/icc-force-majeure-clause-2003icc-hardship-clause-2003/.
vii P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005, cit., p. 281.
viii L. MENGONI, Responsabilità contrattuale, in Enc. Dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, p. 120.